Sbrigativamente li chiamiamo tutti “marocchini”. Siano essi indiani, filippini, magrebini o senegalesi, quelli che vendono la loro povera merce macinando chilometri sulla sabbia assolata, sono “marocchini”. Ce ne sono di tutti i tipi: allegri e sorridenti, seriosi e …professionali, tristi dallo sguardo vuoto che sembrano non vederti, tu che te ne stai abbandonato sul lettino e telo di spugna stinto che un altro marocchino ti ha venduto l’anno prima.
Qui, su questa spiaggia, pare che la specializzazione sia per razza e paese di provenienza: i Magrebini spingono su ruote da bicicletta bancarelle straripanti, più che l’arca di Noè, di costumi da bagno femminili; i Senegalesi girano con immensi sacchi zeppi di finte “louis vitton & affini”; gli Indiani sono i gioiellieri della battigia con le loro vetrinette tappezzate di anelli d’argentone, collane di vetro corallino, braccialetti d’osso spacciato per “vero avorio”; gli asciugamani, che forse per la crisi non sono neppure più di spugna, sono passati a malgasci ed altri isolani provenienti da quell’immenso oceano che di pacifico ha solo il nome.
Poi ci sono i più disgraziati fra i disgraziati, ma che fatalmente marocchini sono loro pure: uno di questi, di razza indefinibile, lo vedo sempre con un secchione di plastica verde pieno fino all’orlo di bianco cocco a pezzi. Passa tra un ombrellone e l’altro biascicando una flebile nenia della quale non ho mai afferrato le parole, ma forse vuol dire “coccobello”, come diceva sulla stessa spiaggia, con voce più stentorea già trent’anni fa, quel ragazzino dal capello di paglia che oggi - uomo fatto - ha una bancarella di noccioline all’ingresso del porto gremito di lussuose barche per evasori fiscali; solo il suo cappello è sempre lo stesso, forse pensa che gli porti fortuna.
Io scendo in spiaggia con l’asciugamano di spugna, quello del marocchino dell’anno prima, ed un libro sotto braccio. Non ho mai soldi con me. Fino a qualche tempo fa mi portavo un euro dietro: serviva per il caffè che sorbivo al baretto dello stabilimento finché la giovane e bella barista di prima (che sapeva fare un buon espresso) non ha fatto carriera passando alla cassa. E’ stata sostituita con una ragazzina della stessa età, apparecchio ai denti e trenta chili di troppo, che pare abbia un fatto personale con la Gaggia alle sue spalle, per cui non le riesce di trarne fuori niente di più d’una ciofeca.
Scendo senza soldi perché non compro bichini, anelli in argentone ed ho rinunciato perfino a quell’unico caffè che, ahimé, caffè non è più. Mi immergo nella lettura, rigorosamente all’ombra e mi lascio distrarre raramente dal chiacchiericcio dei vicini, dal vociare dei bambini che si rincorrono, dalle discussioni accese dei miei vicini (uomini) che commentano l’ultimo acquisto della squadra del cuore: qui son tutti romanisti e laziali, cosa vuoi che me ne freghi a me che tifo per il grande Milan.
Proprio all’ombrellone avanti al mio, c’è anche una sedicenne con un fisico da modella e piercing all’ombelico, ma finché non avrà frequentato una buona scuola svizzera non potrà rientrare fra i miei canoni estetici e, poi, … non vorrei essere accusato di pedofilia.
Ieri me ne stavo lì, tranquillo, immerso nelle mie pagine da intelligentone, quando avverto una presenza: alzo gli occhi e vedo un mazzetto di calzini bianchi da ginnastica stretti in una mano nera: Voi?
Io ancora preso dal filo della lettura: no, grazie. Ma i calzini non spariscono, sono lì immobili: voi? Prego!
Alzo la testa e subito ne inquadro la categoria: è un disgraziato fra i disgraziati ed anche un po’ avanti negli anni; lui non ha anelli, né “due pezzi” da sei euro da offrire; tende umilmente quei calzini da un tanto al chilo a me, ozioso e ben pasciuto signore.
Lo guardo con un sorriso amichevole: no, grazie.Lui mi valuta, mi soppesa e, poiché - forse - gli ho appena sorriso: tu dai per mangiare?
Mi sento arrossire: non ho un centesimo con me, come faccio a spiegarglielo?
Lui sente il mio imbarazzo e certo arrossisce anche lui, ammesso che sotto la pelle nera si possa arrossire per la vergogna d’aver elemosinato.
Si allontana senza una parola.
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