sabato 18 febbraio 2012

Riflessioni: l'Onestà


Chi va al mulino s’infarina, recita un adagio popolare.

I proverbi sono l’estrema sintesi dell’esperienza, la saggezza in pillole dell’uomo comune che ad essi fa ricorso d’istinto quando l’articolazione di un sottile concetto diventa difficile.

Quello appena citato, più che un'espressione di saggezza, mi sembra la descrizione di un malcostume, poiché prescinde dalla qualità che ciascuno di noi dovrebbe possedere: l’Onestà.
L’Onestà è la virtù per antonomasia; quella che fa l’uomo forte, mostrandolo al mondo leale e rispettoso delle regole sociali.
L’Onestà si identifica con la nostra stessa anima, e - come l’anima - la si può vendere un po’ alla volta, in tanti piccoli quotidiani baratti: con l’infantile capriccio per la caramella; con il copiare il compito a scuola e la tesi all’università; con la raccomandazione per il posto di lavoro; con l’accettazione della regalia per fare ciò che, di contro, si dovrebbe solo per dovere; con l’evasione delle tasse; con l’acquisto incauto... .
Taluno afferma che l’Onestà non si può insegnare, perché l’uomo - per possederla - deve aver mosso in essa i suoi primi passi all’ombra dell’esempio dei genitori. Deve, quindi, averla coltivata con gelosia nel corso di tutta la vita, senza mai cedere alle lusinghe della furbizia, alle sirene del tornaconto e, perfino, all’urgenza della sua stessa sopravivenza.
Io sono più cauto e dico che l’Onestà la si può, invece, mostrare con l'esempio e ad essa tornare con il ravvedimento. Spesso i cattivi maestri, infatti, le situazioni contingenti, la debolezza insita nella nostra umana natura, l’autodifesa nella competizione scorretta..., possono averci fatto smarrire la retta via. Sicché quando ci si lamenta dei tanti mali di questa nostra Italia, individuandone la causa nella diffusa assenza di Onestà, nell'additare quella degli altri, nessuno pensa mai alla propria.
E’, invece, da noi stessi che dobbiamo cominciare ad adottare comportamenti onesti, poiché il mondo cambia se siamo noi i primi a cambiare.

La via dell’Onestà è stretta e sempre in salita come un sentiero di montagna faticoso ed impervio da praticare, ma val la pena di percorrerla poiché essa ti ricambia con quella dignità e con quel rispetto che altrimenti non avresti né agli occhi tuoi, né a quelli del mondo.

mercoledì 15 febbraio 2012

Monti, il moderno Cincinnato


Lo storico romano Tito Livio ci racconta: “Lucio Quinzio, unica speranza rimasta al popolo romano, coltivava un appezzamento di quattro iugeri al di là del Tevere. E lì fu trovato dagli inviati... intento a un lavoro agricolo... . Ripulitosi dalla polvere e deterso il sudore, si fece avanti con la toga addosso. Gli inviati (del Senato) lo salutarono dittatore, lo invitarono a tornare in città illustrandogli l'allarmante situazione in cui versava l'esercito.  Ad attenderlo era pronta una imbarcazione allestita a spese dello Stato, dopo aver attraversato il fiume, sulla riva opposta gli andarono incontro i tre figli, seguiti da altri parenti e amici e poi dalla maggior parte dei senatori. Accompagnato da quella folla e preceduto dai littori, venne quindi scortato a casa sua.
Siamo nel 458 a. C. circa, e stiamo parlando di Lucius Quinctius Cincinnatus, eletto dittatore a Roma ben due volte, la prima appunto nel 458 e la seconda nel 439 a. C..
La dittatura a Roma veniva invocata in caso di estremo pericolo della Res Publica e poteva durare fino a sei mesi, periodo durante il quale nessun potere poteva opporsi alla volontà del dittatore.
Cincinnato, salvata la Patria, depose la prima dittatura dopo appena sedici giorni di esercizio, e la seconda dopo poco più, ed ogni volta Lucio Quinzio, detto Cincinnato, tornò ai suoi campi.

Quanto simile, m’appare oggi la figura di Monti: con un’Italia sull’orlo del baratro a causa dell’insipienza dei politici, il Presidente della Repubblica convoca il “Professore” e, con (quasi) unanime consenso, gli affida il Governo, a lui, il non eletto, al quale la politica impone però che - spirato il mandato - non abbia a presentarsi alle nuove urne.
Monti, che già in passato ha rifiutato tanto le offerte della sinistra quanto quelle della destra, accetta il mandato, sceglie la sua squadra di non politici e si mette a fare il lavoro (sporco) che i politici non hanno saputo (o voluto) fare.
Certo non è il dictator di Roma, ma a lui riesce ciò che a nessun politico sarebbe riuscito: aumenta le tasse a dismisura e reintroduce quelle cancellate, perfino con effetto retroattivo; riforma il sistema pensionistico sul quale le fazioni politiche si sono massacrate per anni; si muove con disinvoltura in quell’Europa nella quale spesso i nostri rappresentanti sono stati accolti con sufficienza... .
E sono certo che, alla fine riuscirà a riformare il lavoro, l’inefficiente giustizia e, magari, anche le poste, le ferrovie e quant’altro rende tanto difficile l’essere italiano.
Neanche lui ha la bacchetta magica e, pur dovendo fare i conti con le resistenze delle lobby, dei centri di potere più o meno occulti, della disonestà congenita della politica, mette solo in pratica ciò che ciascuno di noi ha sempre pensato e detto degli altri...: il postino del ferroviere, il giudice del politico, ecc..., perché da sempre sappiamo cosa va riformato in questo Paese, purché non si tocchi il nostro... orticello.

Perché a lui riesce?
Intanto i politici, la maggior piaga d’Italia, hanno fatto un armistizio e riposto i coltelli.  Non illudetevi, non nel nostro interesse o in quello superiore dell’Italia, bensì nel loro stesso: mai, forse, essi avevano toccato il fondo (tutti, nessuno escluso), come negli ultimi anni; e poi quale mai formazione avrebbe avuto speranze di tornare al potere dopo l’attuale cura fiscale, o colpevole d’aver raso a zero tutti gli scaloni pensionistici? Quando mai un partito che si autoproclama popolare avrebbe potuto mettere in discussione l’articolo 18?
E Monti si barcamena in Parlamento e in Europa: mai una parola contro Berlusconi e neppure contro la Merkel; talvolta abbozza ed ingoia il rospo, soprattutto quando è costretto a massacrare i ceti deboli per non farsi demolire nelle Camere, dove i ricchi sono meglio rappresentati.

A lui, nonostante i sacrifici richiestimi, guardo con fiduciosa speranza. Intanto, però, gli sono grato d’aver restituito stile e dignità alla politica.

Forse, come premio al suo lavoro, domani avrà la Presidenza della Repubblica; certo è - invece - che, fra meno di un anno, lascerà - come Cincinnato - per far posto alla volgare insipienza dei nostri politici ed il solo pensiero mi spaventa già.