La rivoluzione (dal tardo latino revolutio, -onis, rivolgimento) è un
mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello
precedente e il sorgere di un nuovo modello. La rivoluzione può essere anche
definita come un cambiamento irreversibile dal quale non si può tornare
indietro.
La storia dell’uomo ci dice di tante
rivoluzioni: tra quelle più vicine a noi, la francese che fece emergere la
dignità dell’uomo in quanto tale; e la nostrana, il Risorgimento che mise fine
al frazionamento politico della nazione italiana.
Se ne possono ricordare molte altre, la
maggior parte velleitarie, ma tutte - quelle utili e quelle effimere - hanno
avuto in comune due fasi:
- la
prima: quella dell’ira, dello sdegno, della irragionevolezza, che comporta
lacrime e sangue;
- la seconda, quella dell’orrore per il sangue
versato, che raccoglie al fine il fruttoo di tanto dolore, non fosse altro che
per mero spirito di sopravvivenza.
Oggi con quella cosa strana chiamata
“grillismo” uscita dalle urne stiamo vivendo una rivoluzione politica, e quel
che temo è che si sia solo all’inizio di quella prima fase, quella
dell’irragionevolezza, che ci costerà lacrime e sangue, sia pure in senso
figurato (almeno spero).
I baroni della vecchia politica, troppo
indaffarati ad inseguire il potere, guardano al grillismo con aria di
sufficienza, non ne intendono il significato e la portata, così come sono restati
sordi ai lamenti degli Italiani che per anni inutilmente hanno reclamato
pulizia ed onestà.
La vecchia politica, impaniata nelle sue
stesse spire, non riesce a comprendere cosa voglia quell’assatanato di Grillo che,
urlando quel che la gente vuole sentire, ha riempito piazze e parlamento,
mentre minaccia di erigere ghigliottine in ogni piazza d’Italia.
Gli
appelli al buon senso, i richiami all’emergenza, lo spread altalenante e le borse
che scendono non fanno presa sul rivoluzionario Grillo ed i suoi grillini, per
i quali - confesso - non nutro alcuna simpatia, ma che accredito di più buone ragioni
di quante non ne facciano valere le vecchie cariatidi della politica, nonché
quel nuovo che dice d’avanzare, ma che - alla prima prova, quella della legge
elettorale - col progetto proposto sembra temere più il democratico voto dei cittadini che non la loro indignazione, con ciò alludendo al fatto che non si vuol restituire agli elettori la facoltà di eleggere i propri rappresentanti.
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