mercoledì 18 gennaio 2012

Andar per mare, il Concordia / Parte terza: personale e... disoccupazione

Ho parlato con un musicista del mio paese che è imbarcato sulla Costa. Adesso sta trascorrendo un breve periodo di ferie ed ha risposto personalmente alle innumerevoli telefonate che giungevano a casa sua da parte dei conoscenti preoccupati che si fosse potuto trovare sul Concordia naufragato.

Intanto dalla sua bocca si chiariscono alcuni particolari che vengono additati come “disservizi” dai mass media, fra cui - il più importante - è quello relativo alle scialuppe ed alla presunta improvvisazione della loro conduzione da parte di cuoci e camerieri.
Andrea mi dice: “periodicamente tutto il personale, imbarcato a qualsiasi titolo sulle navi della Costa, conduce delle esercitazioni per i casi di emergenza..., nessuna meraviglia, quindi, se mentre i marinai sono intenti a distribuire i salvagente e ad avviare i passeggeri ai punti di raccolta, siano altri a muovere le scialuppe... ”. Ciò fa giustizia di molte illazioni... . E’ come se nelle Forze Armate non insegnassimo a sparare a cuochi ed infermieri perché loro non sono combattenti... .
Ma c’è una domanda alla quale non mi sa dare una risposta: com’è possibile che su una nave iscritta nel Registro Navale di Napoli, la città con il più alto tasso di disoccupazione d’Europa, tra il personale in servizio ci siano oltre 600 fra filippini, peruviani e quant’altri?
Vogliamo entrare nel campo delle ipotesi: o i Napoletani - a costo di far la fame - rifiutano i lavori che non ritengono qualificanti, o questi immigrati sono sottopagati dalla compagnia di navigazione... .

Può darsi che ci siano altre motivazioni, ma onestamente - come direbbe la Merkel davanti alle richieste italiane di fare la sua parte - non so a cosa pensare... .

Il caso Concordia: Li alleviamo da conigli e li vorremmo leoni


Ricevo dal Prof. Virgilio Ilari, docente di Storia delle Istituzioni Militari e dei Sistemi di Sicurezza presso l’Università Cattolica di Milano e collaboratore dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, nonché dell’Istituto Affari Internazionali, una riflessione che volentieri pubblico poiché espone autorevolmente un’analisi capace di far riflettere sugli avvenimenti che sono oggi al centro dell’attenzione mondiale:

Sentendo le conversazioni telefoniche fra Capitaneria di Porto e comandante della grande nave da crociera che sta per affondare ti coglie un dubbio: è un dialogo tratto da un film di Sordi, di quelli che rappresentano gli aspetti più opportunistici e vili di tanti Italiani – aspetti che, chissà perché, qualcuno guarda con una certa comprensione e simpatia? Tante, in effetti, sono le bassezze e la ricerca di meschine giustificazioni che – a quel che sembra – vengono mormorate da un comandante sbarcato e fuggito al sicuro prima dei suoi passeggeri.

Ma in fondo, ripensando a quello che ci è stato insegnato e che abbiamo insegnato ai nostri figli, scopriamo che lo stupore non ha poi molta ragion d'essere: non siamo mai riusciti a distinguere fra vigliaccheria e pacifismo, fra disarmo e resa unilaterale, fra millanteria, sbruffonaggine “fascista” e remissività fifona.

Ricordate l'epopea del buon soldato Svejk, di Bertolt Brecht? Ecco, è in opere come questa che si vede come sia facile questa confusione, e come e quanto spesso essa sia stata operata volutamente, soprattutto a sinistra e nel mondo della sinistra cattolica. Si vede come in realtà questo atteggiamento, con tutte le sue declinazioni tragiche, comiche e più spesso tragicomiche, sia stato il risultato di un vero e proprio lavoro di destrutturazione culturale, al quale non abbiamo saputo reagire: o meglio, hanno tentato di reagire solo personaggi legati alla cultura anteguerra ed al militarismo del ventennio – anch'esso da operetta, se si esclude il dramma finale: non la maggioranza degli Italiani, né postfascisti, né comunisti.

Siamo andati avanti per anni e anni, dopo la fine della guerra, a ridicolizzare l'eroismo, a ritenere che normale non sia la difesa delle proprie idee e dei propri valori, anche con le armi se necessario, ma la ricerca di un compromesso, l'acquiescente remissione di fronte a chi alza la voce.

«L'Italia ripudia...», recita il sacro Testo, e chi cerca di sostenere che esiste un giusto limite per ogni estremo viene immediatamente escluso dal consorzio del politically correct.

Ma in fondo, se il massimo valore è portare a casa la ghirba, se l'onore è roba di aristocratici di altri tempi, un po' ridicola e del tutto estranea al proletariato, se il dovere si stabilisce nel mansionario sindacale e si coniuga e contempera con una serie di circostanze attenuanti e di ragioni per cui si è esentati o impossibilitati, allora perché mai il nostro comandante avrebbe dovuto comportarsi diversamente? Primum vivere, perbacco.

Un famoso uomo di teatro lombardo dei tempi passati, Edoardo Ferravilla, aveva già pronto il detto: «Soldato che scappa è buono per un'altra volta».

Andar per mare, il Concordia / Parte seconda: la disciplina del personale


Altra considerazione che ho fatto alla luce della tragedia consumatasi davanti all’Isola del Giglio riguarda la disciplina del personale di assistenza ai passeggeri.
Nelle prime ore dell’affondamento del Concordia ho assistito all’isterismo di una  giornalista (di moda), bel faccino, doppio cognome che non ricordo, che al telefono dava la sua testimonianza a Sky TG24. Parlo d’isterismo perché, pur comprendendo lo stato d’animo di chi ha appena visto la morte in faccia, non accredito il diritto ad un operatore dell’informazione di riferire saccentemente i fatti in preda alle proprie incontrollate emozioni.
Ebbene, questa “giornalista” che premetteva di assumersi tutte le responsabilità delle dichiarazioni che andava facendo, come se in Italia un giornalista sia mai stato chiamato a risponderne, ingenerosamente accusava l’equipaggio d’essere stato inefficiente, latitante ed incompetente.
Costei, prescindeva da qualunque valutazione della drammaticità del momento, del disorientamento iniziale di chi viene colto dalla “sorpresa” dell’evento eccezionale e mostrava un’assoluta incapacità di giudizio, tant’è che la redazione di Sky s’è ben guardata in seguito di riproporne il pezzo.

Il personale con il quale ho avuto a che fare io sui traghetti, di tutto può essere accusato tranne che d’incompetenza. Le loro mancanze possono essere ricondotte, al massimo, ad una carenza di disciplina comune a tutte le organizzazioni quando chi comanda è incapace o... compromesso e, quindi, ricattabile. Dimostrazione ne sia che non su tutte le navi ciò accade, né - sul Concordia - si sarebbero potute salvare quasi 4.000 naufraughi se il personale - superato il primo disorientamento - fosse stato così incompetente.
A me è capitato, per esempio e non di rado purtroppo, che all’imbarco il numeroso personale addetto alla recezione dei passeggeri mi abbia completamente ignorato, concentrato com’era nell’individuazione delle passeggere giovani e carine, possibilmente non accompagnate da uomini, cui far da guida personalmente fino alla cabina. Di conseguenza mi sono dovuto ingegnare da solo; giunto al mio ponte, poi, e trovando la cabina chiusa a chiave, abbia ancora dovuto sborsare una mancia esplicitamente richiesta per accedervi.
Altro comportamento censurabile è quello del personale addetto ai bar, ai ristoranti ed ai self service dove lo scontrino spesso non viene neanche battuto ed i prezzi non sempre corrispondono a quelli esposti.

Quando si va per mare è indispensabile che il personale sia ben inquadrato, disciplinato e controllato, ma per aver autorità non basta indossare una divisa gallonata: bisogna avere tutte le qualità morali e professionali di un Comandante, perché gli uomini si conducono  con l’autorità morale che nasce dalla professionalità indiscussa e dal buon esempio.

lunedì 16 gennaio 2012

Andar per mare, il Concordia / Parte prima: la buona stella


Premetto che non sono stato mai in crociera e che tutta la mia esperienza si riduce ai numerosi viaggi tra Genova, Palermo e ritorno, quindi ho la presunzione di affermare che per mare talvolta sono pur andato.

La tragedia del Concordia, al di là della dolorosa cronaca che ha fatto l’immediato giro del mondo con discredito della marineria italiana, credo fornisca il destro per alcuni spunti di riflessione diversi da quelli che i giornalisti s’affannano a commentare, ma che mi sembrano utili non fosse altro che per far tesoro delle lezioni che la vita ci impartisce volta per volta.

La sicurezza: in questi giorni sento dichiarare che i passeggeri vengono sempre e compiutamente informati sul comportamento da adottare, sul come indossare il salvagente, sui punti di riunione per l’imbarco sulle scialuppe, ecc... .  Qualcuno s’è anche affrettato a precisare che tali istruzioni vengono date nelle prime 24 ore e l’incidente al Concordia è accaduto solo due ore dopo la partenza.

Non ho motivo di metterlo in dubbio.

Sulla traversata Genova / Palermo, NON, dico non, mi è mai capitato che fossero state date istruzioni di sorta in caso di naufragio; al massimo, dopo una sorta di affannosa caccia al tesoro, ho trovato in cabina un pieghevole ed i salvagente, ai quali - manco a dirlo - manca sistematicamente il famoso fischietto che dovrebbe servire a richiamare l’attenzione dei soccorritori.

La traversata  Genova / Palermo, in barba alla definizioni di “Navi Veloci” con la quale si effettua, dura ben 19 ore ed una in più per la rotta inversa che, come tutti sanno, è perché ...la nave va in salita.

Solo mi chiedo: come mai a questi passeggeri non vengono impartite istruzioni alcune e men che mai si fanno esercitazioni?

La risposta che ti darebbe colui che ha affermato che ci vuole più tempo da Palermo a Genova perché il viaggio si effettua in salita potrebbe essere: i traghetti di cui trattasi sono più sicuri delle navi da crociera e della sfigata Concordia in particolare; l'indottrinato da ideologie rivoluzionarie affermerebbe, invece: quelli dei traghetti sono trattati come passeggeri di serie B rispetto ai croceristi.

A me viene da pensare, però, che ci sia una grande superficialità in chi detta o applica le disposizioni relative alla sicurezza e, considerato che parliamo di navigazione, sospetto che ci si affidi molto alla buona stella.  La stessa che è mancata al Concordia.

sabato 7 gennaio 2012

Politico, ma quanto vali?


E’ la polemica al vetriolo che ormai da mesi imperversa sui giornali, sul web e nei discorsi degli Italiani in casa, al bar, al circolo, nelle piazze... .  Quindi tornarci sopra mi sembra di sfondare una porta aperta, non fosse che sono convinto che il politico non ha capito ( o forse fa finta di non capire) le vere ragioni di tanto accanimento.

Ci aspettano almeno due anni di sacrifici e vorremmo che a sostenerli fossero chiamati tutti, a partire da chi questi sacrifici approva su proposta del Cincinnato Monti. Se - tuttavia - andiamo a guardare ai tempi di tale polemica, ci rendiamo conto che il governo tecnico non c’entra poco o nulla, poiché sono ormai decenni che si inveisce contro i privilegi di quella che è stata bollata come “la  casta”.
Allora dove stanno le vere ragioni di tanto polemizzare?

Quando ci apprestiamo a comprare un qualcosa, nella valutazione del prezzo che siamo disposti a pagare entrano in ballo tutta una serie di considerazioni: il bisogno, la brama di possedere, l’investimento in se stesso ed ultimo, ma non ultimo, il valore della cosa. Quanto più queste valutazioni concorrono insieme, tanto più alto sarà il prezzo che saremo disposti a pagare.
Quanto al valore delle cose, sul mercato esistono automobili - ad esempio - che, a parità di cilindrata, forniscono affidabilità, prestazioni e confort molto diversi e, di conseguenza, costano cifre che niente hanno in comune fra loro. Se invece si prendono in considerazioni le prestazioni professionali, pagheremo un onorario più alto quanto più sarà bravo il medico, l’avvocato, l’architetto cui ci rivolgiamo.

E qui sta il nocciolo della questione: quanto valgono i nostri politici?

Se dobbiamo giudicare da come ci hanno amministrato in questi ultimi decenni, dagli effetti che i loro provvedimenti ci hanno arrecato - valutazioni che emergono dal debito pubblico  che ci affligge e dalla presente situazione economica, nonché dal prender nota delle responsabilità penali delle quali essi sono sistematicamente chiamati a rispondere dalla magistrature inquirente - dobbiamo convenire che le qualità e le capacità di cui hanno dato prova sono decisamente basse, per non dire insufficienti.

Tutto ciò che i politici, infatti, hanno toccato in Italia è finito male: nove volte su dieci, dietro al fallimento di un’impresa o di un’industria, si scopre invariabilmente un coinvolgimento della politica, una losca trafila di mazzette a pubblici eletti e di fondi neri per sovvenzionare personaggi e partiti.
L’accanimento nella conquista del potere ha uguale solo nell’esibita arroganza, una volta eletti, nonché nella smodata sete di arricchimento individuale della quale molti han dato prova, dove il bene comune è richiamato, a parole, come alibi al furto legalizzato, alla concussione, al privilegio inteso come diritto implicito nel proprio stato. Il nepotismo, poi, è diventato regola trasversale nello schieramento parlamentare di questo Paese.
Gli strumenti della lotta politica non sono la dialettica o la cultura sociale, bensì la calunnia, la sopraffazione e l’intimidazione. Ed allorché c’è stato da esporsi per l’aggravarsi della situazione da loro stessi provocata, è emersa tutta la loro vigliaccheria morale concretizzatasi in un governo tecnico.

Se le cose stanno così, e ne siamo tutti testimoni, il nostro è un politico che non vale neppure un centesimo di quanto sudiamo a guadagnare.

In nome di cosa, infatti, dovremmo retribuire costoro, poco o tanto che sia? Forse in nome della democrazia?  Ma che democrazia è mai quella che si presenta come tale nelle forme esteriori, ma i cui meccanismi negano all’elettore la possibilità di giudicare la disonestà e l’inettitudine dei propri eletti, nonché di sostituirli con altri più retti ed efficienti?

Quindi, caro politico, gli Italiani - più dignitosamente di quanto stai facendo tu con la tua affannosa ricerca delle medie europee che, guarda caso dovrebbero valere per te e non, ad esempio, per i nostri operai - non stanno facendo questioni di prezzo, ma obiezioni alla tua capacità di rendere il servizio al quale tu stesso ti sei proposto e preposto: tu non vali i quattrini che ci costi.

Il giorno dopo l'Epifania

Stamane mi sono alzato con un pensiero ingombrante e sgradito, quasi avessi dovuto affrontare un problema impellente, irrimandabile: smantellare l’albero, gli addobbi natalizi della casa, del giardino, il presepe... .
E’ un lavoro penoso che non amo fare. Mi sembra di cancellare una favola, quella stessa che faceva impazzire di gioia i miei figli e che cominciava il giorno dell’Immacolata quando salivo in soffitta per recuperare le scatole con sopra scritto “natale”.

Preparare il Natale in casa è un gioioso rito di amore e di speranza, sostenuto dalla visione positiva della vita. E mentre t’arrabatti tra fili dorati e lucette intermittenti, quando t’ingegni con capanne e statuine ad apprestare il nuovo presepe, avverti come un senso di pace e di gioia invaderti dentro.
Lo sguardo felice d’un bambino che gioisce ai tuoi preparativi è la più immediata ricompensa alla tua fatica.

Adesso m’appresto - con rimorso - al giro inverso: raccoglierò i pastori ed il Bambino per riporli nella paglia buona un altr’anno per la mangiatoia. Aprirò la cassetta di legno, nata per contenere un vino confezione regalo, per riporvi le palline dell’abete, una alla volta, quasi con ritrosia, facendo bene attenzione che non si rompano, lontana cautela retaggio di quando erano ancora di vetro. Verificherò i fili delle luci, uno per uno, per accertarmi di non tenere la serie bruciata, mentre con la mente tornerò ai tempi di quando, sostituito un pisellino, tutto tornava a sfavillare... .

Allorché, infine, tutto sarà ordinatamente tornato in soffitta, la casa m’apparirà spoglia e so già che, per un attimo, risentirò il peso della disapprovazione del bimbo che è me, per il quale la vita dovrebbe essere un continuo ed interminabile Natale.

martedì 3 gennaio 2012

Ideali traditi


Mi sto preparando al peggio: mi accorgo d’essere sempre stato irrimediabilmente idealista, uno che nella vita ha sempre creduto e difeso le Istituzioni, nonché gli uomini che le rappresentavano.

Ho sempre amato la mia gente, perché è con la mia gente che identifico il mio Paese sempre amato, sognato grande e virtuoso, esempio ai Popoli e faro di civiltà.

Si, ho identificato il mio Paese nella mia gente: nella mia fantasia di bambino gli Italiani erano belli e gli altri brutti; nei miei sogni d’adolescente gli Italiani erano i più virtuosi, i più bravi, i più fantasiosi, i più generosi...; nel mio credo di uomo ho alimentato le fantasie del bambino e dell’adolescente, confidando nel cambiamento, nel progresso delle idee e della società.

Oggi, con i capelli bianchi, di fronte alla disperazione dei piccoli ed all’insipiente arroganza di quanti in cui riponevo fiducia, comincio a credere d’aver sbagliato tutto.

Dove sono finiti i miei Italiani di bambino? E dove le loro virtù che prefiguravo da ragazzo? Dov’è finita la certezza nel progresso civile?
Tutto oggi naufraga miseramente nel sangue d’un innocente povero vecchio su un lordo selciato di Bari... .