mercoledì 18 gennaio 2012

Il caso Concordia: Li alleviamo da conigli e li vorremmo leoni


Ricevo dal Prof. Virgilio Ilari, docente di Storia delle Istituzioni Militari e dei Sistemi di Sicurezza presso l’Università Cattolica di Milano e collaboratore dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, nonché dell’Istituto Affari Internazionali, una riflessione che volentieri pubblico poiché espone autorevolmente un’analisi capace di far riflettere sugli avvenimenti che sono oggi al centro dell’attenzione mondiale:

Sentendo le conversazioni telefoniche fra Capitaneria di Porto e comandante della grande nave da crociera che sta per affondare ti coglie un dubbio: è un dialogo tratto da un film di Sordi, di quelli che rappresentano gli aspetti più opportunistici e vili di tanti Italiani – aspetti che, chissà perché, qualcuno guarda con una certa comprensione e simpatia? Tante, in effetti, sono le bassezze e la ricerca di meschine giustificazioni che – a quel che sembra – vengono mormorate da un comandante sbarcato e fuggito al sicuro prima dei suoi passeggeri.

Ma in fondo, ripensando a quello che ci è stato insegnato e che abbiamo insegnato ai nostri figli, scopriamo che lo stupore non ha poi molta ragion d'essere: non siamo mai riusciti a distinguere fra vigliaccheria e pacifismo, fra disarmo e resa unilaterale, fra millanteria, sbruffonaggine “fascista” e remissività fifona.

Ricordate l'epopea del buon soldato Svejk, di Bertolt Brecht? Ecco, è in opere come questa che si vede come sia facile questa confusione, e come e quanto spesso essa sia stata operata volutamente, soprattutto a sinistra e nel mondo della sinistra cattolica. Si vede come in realtà questo atteggiamento, con tutte le sue declinazioni tragiche, comiche e più spesso tragicomiche, sia stato il risultato di un vero e proprio lavoro di destrutturazione culturale, al quale non abbiamo saputo reagire: o meglio, hanno tentato di reagire solo personaggi legati alla cultura anteguerra ed al militarismo del ventennio – anch'esso da operetta, se si esclude il dramma finale: non la maggioranza degli Italiani, né postfascisti, né comunisti.

Siamo andati avanti per anni e anni, dopo la fine della guerra, a ridicolizzare l'eroismo, a ritenere che normale non sia la difesa delle proprie idee e dei propri valori, anche con le armi se necessario, ma la ricerca di un compromesso, l'acquiescente remissione di fronte a chi alza la voce.

«L'Italia ripudia...», recita il sacro Testo, e chi cerca di sostenere che esiste un giusto limite per ogni estremo viene immediatamente escluso dal consorzio del politically correct.

Ma in fondo, se il massimo valore è portare a casa la ghirba, se l'onore è roba di aristocratici di altri tempi, un po' ridicola e del tutto estranea al proletariato, se il dovere si stabilisce nel mansionario sindacale e si coniuga e contempera con una serie di circostanze attenuanti e di ragioni per cui si è esentati o impossibilitati, allora perché mai il nostro comandante avrebbe dovuto comportarsi diversamente? Primum vivere, perbacco.

Un famoso uomo di teatro lombardo dei tempi passati, Edoardo Ferravilla, aveva già pronto il detto: «Soldato che scappa è buono per un'altra volta».

3 commenti:

  1. e se parlassimo di professionalità. Quella oggi è molto assente in parecchi settori purtroppo

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    1. ...ed è anche di questo che si vuol parlare. Quando si gioca allo sfascio, quando "...il dovere si stabilisce nel mansionario sindacale e si coniuga e contempera con una serie di circostanze attenuanti e di ragioni per cui si è esentati o impossibilitati..."... Fra i doveri che non è più di moda additare, c'è anche il conseguimento di quella professionalità di cui lamenti la mancanza, nonché la deontologia...

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  2. Non ce ne era bisogno, ma questo scritto fa un po' di chiarezza.
    Grazie Dario...

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