venerdì 2 settembre 2011

Cittadini si nasce, precari si diventa...


Quest’anno  mia figlia ha rivisto un’amichetta, o meglio quella che era un’amichetta dei tempi di  quando -ancora malferme sulle gambine - giocavano a far polpette di sabbia sulla spiaggia. Oggi, quella bimbetta è 26enne. Scopro che s’è laureata lavorando di giorno come cameriera e studiando la notte.
Una ragazza ammirevole per volontà e determinazione, evidentemente.

Alla mia domanda se avesse già trovato un’occupazione, mi risponde che ha lavorato nove mesi per una multinazionale americana con un “contratto a termine”,  ma che è certa che a settembre la riprendano, poiché s’è proprio portata bene; ha avuto perfino degli elogi scritti per il suo impegno.
Lei ce l’aveva messa proprio tutta per farsi apprezzare, senza mai guardare l’orologio: “si figuri - ha aggiunto - che una volta ho preferito dormire in macchina, nel parcheggio, perché avevamo finito intorno alle 23 e c’era un’ora di macchina per rientrare a casa; la mattina, per essere puntuale, sarei dovuta partire alle sei..., ma sa il traffico, un imprevisto... .”

Veramente una ragazza ammirevole, direi d’oro... . Ma che lo l’avessi pensato io a poco è servito: Chiara non è stata chiamata... .

Ora, che anch’io ho una figlia neolaureata, mi chiedo: ma cos’è questa storia dei contratti a termine? E quanta buona fede c’è in chi se ne avvale?
Il lavoratore che viene a trovarsi in questa situazione è un precario a tutti gli effetti, né si può dire che il datore di lavoro sia sempre in buona fede quando sceglie d’assumere un giovane: se lo fosse, allo spirare del contratto direbbe subito: “dottoressa, non più bisogno di lei...”. Se non altro, quella dottoressa si metterebbe subito cercare un altro posto.
Ed invece, no: “siamo molto soddisfatti di lei, ...le faremo sapere dopo la chiusura feriale...”. E la dottoressa aspetta: sa di aver fatto bene; è certa che la chiameranno... .

Ma Chiara non è stata ripresa ed è lì che... aspetta, perché non ci crede ancora che sia finita... .

Vado a guardare su Wikipedia: “Il precariato è costituito da una serie di contratti a termine che non cumulano nel tempo vantaggi economici o professionali perché non consentono al lavoratore di progredire nel proprio cammino professionale. La loro funzione dunque non contribuisce alla facilità d'impiego ed alla professionalizzazione, bensì sgretola in una sequela di impieghi poco remunerati e poco professionalizzanti... ”.

A questo punto sono io a non crederci.
Perché capisco che si lasci a casa chi non vale, ma non un giovane che sia fatto valere.
Oltretutto mi sembra anche antieconomico, poiché non posso pensare che un  vero imprenditore, per risparmiare alcune centinaia di euro, possa rinunciare a chi ha addestrato per un anno, quando questi gli abbia dato affidamento... .
Me lo spiega ancora Wikipedia: “(il precariato) consente al datore di lavoro, il quale rinnova per diversi anni la stessa collaborazione, di aggirare il problema del licenziamento e di mettere in atto un evidente risparmio contributivo e salariale.
E’ così chiarito l’arcano del perché un datore di lavoro furbo, non serio, preferirà un lavoratore interinale ad uno stabilizzato. 

Però se tali forme contrattuali sono previste da una legge dello Stato, com’è possibile che il datore di lavoro se ne possa servire per aggirarne un’altra?
Lo Stato non può intervenire, né moralmente, né fattivamente, poiché è proprio lui ad avvalersene per primo: vedi i 200.000 precari della Scuola di cui tanto s’è parlato negli ultimi mesi, o i famigerati "co.co.co"., sigla quest’ultima che pare dirtela lunga in proposito... .
Inoltre, l’INPS pone a carico dei lavoratori precari una contribuzione pari al 23,5 %, maggiore che non quella del 20% dei commercianti. Soldi questi che, peraltro, non verranno mai investiti nella pensione dei precari.

 Al che mi dico: “povera figlia mia, cosa t’aspetta...”.

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