In casa ho un pianoforte, un Neumayer datato Berlino 1902.
L’ho trovato in pessime condizioni presso un mobiliere che, chissà dove l’aveva preso, apprezzandone solo la bella radica.
Tornavo frequentemente nella sua esposizione per vederlo e quello, il mobiliere, mi prendeva in giro: non vale niente, se vuoi, te lo tiro dietro per un milione e mezzo.
Ed alla fine lo presi, anche se ero in ristrettezze perché stavo costruendo casa, ma amavo quel pianoforte, me ne ero innamorato a prima vista.
Mentre ancora era lì nell’esposizione del mobiliere, andavo a liberarlo dalla polvere e ne sfioravo con delicatezza la tastiera dai tasti d’avorio consumati negli angoli, come se fossero stati pestati tutti i giorni, per anni, per decenni, con forza, con amore, per tante, tantissime ore.
Osservandolo, immaginavo dietro a quella tastiera una compunta bambina dalle trecce bionde che studiava musica.
Sull’eco di quelle note la bimba diventava adolescente e, continuando a suonare, era donna, madre, nonna...
Quando, alfine, il pianoforte tacque, finì nel magazzino del mobiliere, mobile fra gli altri mobili.
Oggi è con me..., bello, lucido, restaurato.
Un’altra bimba l’ha suonato, le sue trecce erano brune, ... e quando anche quella è diventata donna ed ha lasciato questa casa, il pianoforte é restato con me.
Non sai neppure quante volte l’accarezzo con lo sguardo, quante volte mi seggo all’accosta poltrona per ascoltarne la silente musica che una presenza femminile continua a suonare per me sulla sua ingiallita tastiera.
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