Siamo a fine stagione ed ormai sembra che l’estate sia solo più un ricordo.
Peppino, il mio amico del cuore, ha organizzato una cena alla Trattoria Italia,
niente di particolare, una serata informale tra amici, alla quale è stata
invitata anche una sua cugina di passaggio da queste parti e che lui non vede
da anni. Così eccoci finalmente tutti insieme gli amici della compagnia, seduti
attorno ad una tavola apprestata come si conviene e montagne di affettati casarecci
che fanno l’occhiolino dal suo centro.
Rimangono due posti vuoti:
- Mia cugina è ritardo, peggio per lei, noi cominciamo e ...chi tardi
arriva male alloggia.
Dopo il primo giro di buon nebbiolo, Andrea, famoso per non essere mai
uscito della cerchia di mura della suo paesello, ci strabilia:
- Quest’anno ho passato una settimana a Viserbella! Sole, mare, vita
notturna, abbuffate... che vita, ragazzi, che vita...
- Ma che dici? La Riviera sarà pure divertente, ma vuoi mettere il
mare di Santorini?
E’ Giovanni a parlare. Talvolta
ho il sospetto che giri per il Mediterraneo solo per potersene vantare con gli
amici fino al giugno successivo. Ed infatti continua:
- Ma vuoi mettere? Certi tramonti che tingono tutto di rosso! Ed il
pesce comprato direttamente da pescatore sulla barca, arrostito sugli scogli e
mangiato all’istante con solo un po’ di limone per tutto condimento...
In quello si spalanca la porta ed una voce femminile flauta forte:
- Ma ciao, Pinottello mio...
Peppino si alza prontamente, gentiluomo qual è, gira attorno al
tavolo, l’abbraccia.
- Questa è mia cugina Marcella, amici, e questo è suo marito...
Non me ne ricordo più neppure il nome.
Marcella, la cugina, è stata sicuramente una bella ragazza che, ormai, veleggia sicura verso i cinquanta, conservando sul volto il ricordo di molte tempeste. Come non bastasse è decisamente fuori posto:
elegante nel suo vestitino di pizzo bianco da bambola ed ingioiellata come una
Madonna del Sud.
Suo marito si guarda attorno con l’aria schifata, e pare voglia dire:
Oh Dio, una trattoria, ma come siamo finiti qui? Prendono posto. Lei è di fronte
a me, lui alla sinistra di mia moglie.
- Cosa stavamo dicendo? Ah si..., Santorini...
Il vivace scambio di opinioni riprende tra i due vecchi amici, dove l’uno
che vuol convincere l’altro d’aver passato delle vacanze migliori. E’ una
vecchia storia che si rinnova da anni, finché la conversazione sembra finalmente
languire nel disinteresse generale ed io, per essere cortese e coinvolgere i
nuovi arrivati, chiedo:
- E voi cosa avete fatto questa estate?
Lui sta per aprire bocca ma la bella Marcella lo fulmina con lo
sguardo:
- Dovevamo andare ai Caraibi, ma poi quello sciocco uragano ci ha rovinato la
vacanza ed al Ministero degli esteri ci hanno sconsigliato di partire parlando
di disastri, gente per le strade con problemi di ordine pubblico e neanche un
ristorante decente rimasto in piedi - aggiunse guardandosi attorno, come se
vedesse per la prima volta la trattoria, e prendesse con orrore del suo
squallore.
- Ci hanno suggerito: ma perché non andate in Sicilia?
- Noi che siamo dotati di un grande spirito d’avventura, ci siamo
detti: ...e perché no? Va beh che c’è la
mafia, va beh che parlano strano, ma cosa ci costa? Un albergo decente ci sarà
di sicuro pure lì, no? E se poi dovessero sparare... un po’ di far west con la
coppola... non potrà mica farci male.
E giù una risata tra l’isterico ed il gioioso, guardandosi attorno
come a ricevere approvazione e solidarietà per la battuta reputata intelligente.
Io ho i fumi e mia moglie, che mi conosce, m’ha già rifilato una
tacchettata sul malleolo destro per strozzarmi in gola il vaffa che stava lì lì
per partire.
- Siamo scesi all’Hotel Villa Igea, il miglior cinque stelle di Palermo...
- continua che la gran dama la quale, preso l’abbrivio, sembra non trovare più freni
al suo soliloquio.
- Niente male, per essere a Palermo. Non che sia all’altezza del Le
Faubourg di Parigi, intendiamoci, ma ce la mettono proprio tutta, poverini.
Vorrei interromperla, dire qualcosa, ma quel fiume di parole ha ormai
rotto gli argini e non consente in nessun modo di interloquire. Guardo verso Peppino e lui, di rimando, fa spallucce. Il solito
debosciato che lascia gli amici a cavarsela da soli nel momento del bisogno.
Intorno una desolazione di visi rassegnati, uomini e donne sembrano quasi ipnotizzati
dalle quelle labbra sfiorite che si muovono alla cadenza di una mitragliatrice tedesca della seconda guerra mondiale.
Dubito che sentano altro che un sottofondo stridulo ed indistinto.
- Pensate, amici, faceva un caldo, ma un caldo, che le scarpe
rimanevano attaccate all’asfalto e la gente, per trovare un po’ di refrigerio
mangiava il panino col gelato... .
A questo punto, avendo già la caviglia tumefatta per le gran botte
ricevute e nella speranza di prevenirmene la prevedibile frattura, mi alzo
rumorosamente dal tavolo e sbotto:
- Dai, moglie, andiamo. Per stasera ne ho abbastanza. Peppino quando
avrai un po' di tempo, ti sarei grato se spiegassi a questa logorroica di tua cugina che
in Sicilia la gente preferisce il gelato nelle brioche a quello sul cono, ma
forse per lei questo concetto rimarrà del tutto incomprensibile, visto che non ti lascia spazio per aprire bocca.
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